
Il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, prof. avv. Giuseppe Conte, ha annunciato l’intenzione di prorogare lo stato di emergenza con rilievo nazionale, ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. n. 1/2018 (Codice della Protezione Civile), attraverso una apposita deliberazione della componente collegiale del Governo al fine di «tenere sotto controllo l’agente patogeno». In questo modo la eventuale proroga si fonderebbe non su una condizione attuale, ma su una previsione, tutta da dimostrare, che il virus riacquisti la sua forza nel prossimo autunno.
In primo luogo, è doveroso constatare, in ragione della stessa previsione legislativa (art. 24, comma 5), l’assenza di qualunque controllo preventivo di legittimità sul provvedimento deliberativo. Un’esclusione pericolosa che attribuisce al Consiglio dei Ministri un potere ampiamente discrezionale. Gli stessi gruppi parlamentari di Italia Viva ed il Partito Democratico hanno chiesto a Conte di riferire tempestivamente in Parlamento. Infatti, in una prospettiva specificamente costituzionale, la prassi delle emergenze prorogate, come quelle in materia sanitaria, determina un impatto non solo sul sistema delle fonti del diritto, stante la deroga prolungata a interi corpi normativi ad opera dei vari provvedimenti (DPCM, Ordinanze del Capo Dipartimento della Protezione Civile, Ordinanze dei Presidenti delle Giunte regionali), ma anche sulla stessa forma di Governo, facendone venir meno la sua struttura «policentrica» delineata nella Costituzione vigente.
In secondo luogo, non si può non rilevare come il Testo fondamentale italiano del 1948, a differenza di altri, non disciplini le situazioni emergenziali le quali rimangono normate a livello di fonti primarie con l’unica eccezione della dichiarazione dello stato di guerra (art. 78 Cost.) dove, da parte delle Camere, vengono conferiti al Governo della Repubblica non tutti i poteri, ma solo quelli «necessari». Al di fuori dell’ordine costituitorisultano le cause, piuttosto che le modalità con cui affrontare la criticità senza che il diritto debba adattarsi alle contingenze registrabili sul piano fattuale in nome di una concezione dello ius quale «nuvola che galleggia sopra un paesaggio storico» e senza che fatti fuori da ogni riconoscimento finiscano per imporre la loro intrinseca normatività. Siamo in presenza di un complesso normativo che si caratterizza per l’affermazione di un principio generale di non-libertà (sia pur formalmente temporaneo ed ora attenuato, ma al contempo incerto), in cui gli spazi interstiziali di esercizio della stessa si configurano come discrezionali (Cfr. V. BALDINI, Emergenza costituzionale e Costituzione dell’emergenza. Brevi riflessioni (e parziali) di teoria del diritto, in Dirittifondamentali.it, n. 1/2020, 892). L’uso dell’emergenza, è bene non dimenticarlo, è per definizione «a tempo». Ogni proroga, dunque, non può non essere adeguatamente giustificata di fronte al Parlamento, benché il Codice della Protezione Civile non contempli questo passaggio, altrimenti non è né ragionevole, né convincente. L’Esecutivo, invece, sta legittimando un vero e proprio diritto parallelo e alternativo rispetto a quello esistente.
L’emergenza sanitaria che ha colpito non solo l’Italia ma il mondo intero ha avuto quale riflesso giuridico, nell’ordinamento interno, un abuso dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri giustificati dalla necessità di fronteggiare l’epidemia che era in atto e che, solo formalmente, rinvenivano la loro «legittimità» prima nel decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 e poi nel decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, entrambi convertiti, con modificazioni, rispettivamente nella legge ordinaria dello Stato 05 marzo 2020 n. 13 e nella legge 22 marzo 2020, n. 35. Questa nuova modalità di produzione del diritto ha inciso in maniera sproporzionata su alcuni diritti e libertà rispetto alle quali la nostra Costituzione non solo impone il rispetto della riserva di legge, sia essa assoluta o relativa, nonché del principio di legalità, ma anche la garanzia della loro «minima operatività» (sent. n. 67/1990 Corte cost.).
A fronte di questo la dottrina costituzionalistica si è divisa tra coloro che sostenevano come, data la situazione inedita e di estrema emergenza, potesse giustificarsi questo (ab)uso di fonti secondarie in quanto le stesse trovavano un loro formale aggancio nei provvedimenti provvisori aventi forza di legge di cui sopra e coloro che, viceversa, ritenevano che la situazione di emergenza non potesse essere considerata una circostanza idonea a eludere i principi fondamentali del nostro ordinamento quali, ad esempio, il principio democratico, il principio di separazione dei poteri etc.…
Ora, prorogare lo stato di emergenza significa, ad avviso degli scriventi, accentuare questa evidente elusione dell’ordine costituzionale che, già durante la c.d. fase uno, era stata caratterizzata da una sostanziale vanificazione dell’azione di tutti quegli organi costituzionali che sono preposti a fungere da garanti rispetto ad una eventuale violazione dei diritti costituzionalmente garantiti, sebbene il Parlamento disponesse (e dispone) del potere di non convertire i decreti-legge ed il Presidente della Repubblica, in occasione dell’emanazione, di esercitare quel controllo preventivo di legittimità in intensità almeno pari a quanto avviene in sede di promulgazione di una legge ex art. 74 Cost. (cfr. sent. n. 406/1989. Sul punto M. LUCIANI, L’emanazione presidenziale dei decreti-leggi (spunti a partire dal caso E), in Rassegna Astrid, 05 marzo 2009).
Una delle possibili soluzioni alternative a quella proposta dal Presidente del Consiglio dei Ministri potrebbe essere un coinvolgimento del Parlamento, mediante una modifica dello stesso art. 24 del d.lgs. n. 1/2018, nella effettiva gestione circa la risoluzione delle nuove problematiche che potrebbero emergere, ma anche una condivisa pianificazione, rispettosa dei diritti e delle libertà e costituzionalmente conforme pure da un punto di vista formale, da adottare qualora l’emergenza dovesse ripresentarsi. Una soluzione che sia coerente, precisa e non risulti essere sostanzialmente una «delega in bianco». La stessa «parlamentarizzazione» dei DPCM (emendamento Ceccanti in sede di conversione del decreto-legge n. 19/2020), che si ispira alla ratio della legge ordinaria dello Stato n. 234/2012 sui rapporti tra Parlamento e Governo in relazione all’Unione Europea, ossia l’ illustrare preventivamente alle Camere, da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri o di un Ministro da lui delegato, il contenuto dei decreti presidenziali al fine di tenere conto degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati o, qualora ciò non fosse possibile per ragioni di urgenza connesse alla natura delle misure da adottare, riferendone comunque il contenuto, appare poco convincente, in quanto non solo nel primo caso allunga i tempi, ma costituisce un iter certamente non idoneo a restituire centralità all’organo costituzionale titolare della funzione legislativa, confermando semmai quel passaggio silente della forma di Governo da parlamentare a «debole razionalizzazione» a «governamentale», nonché la dubbia costituzionalità dei decreti-legge «ad efficacia differita».
Qualora il Parlamento non dovesse essere coinvolto per approdare ad una soluzione dialetticamente condivisa, si rischierebbe una indefinita proroga di uno stato di emergenza che in realtà cela uno stato di eccezione nell’accezione di stato di sospensione della stessa Costituzione.
Ha scritto recentemente il prof. Gaetano Azzariti: «quando qualcuno (Silla prima, Cesare poi) ha pensato di estendere lo stato di emergenza e si fece confermare oltre il tempo i pieni poteri, ecco che la dittatura da «commissaria» si fece «sovrana», e la Repubblica capitolò» (Cfr. G. AZZARITI, Il diritto costituzionale d’eccezione, in www.costituzionalismo.it, n. 1/2020, 6).
(*) Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato e Dottrina dello Stato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico
(**) Dottoressa in Giurisprudenza e Cultrice della materia per l’insegnamento IUS-08 Diritto Costituzionale presso la Scuola di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Padova