
Sommario: 1. Premessa – 2. Sulla competenza di Regioni, Comuni e Stato – 3. Ordinanze contingibili e urgenti regionali e violazione della riserva di legge in materia di diritti costituzionalmente tutelati: il caso Veneto – 4. Quale ordinanza seguire? – 5. Conclusioni.
1. Premessa.
L’emergenza sanitaria, che l’Italia sta attraversando in questi giorni, ha reso necessaria l’adozione di provvedimenti straordinari per contenere, quanto più possibile, il numero dei contagi.
Detti provvedimenti, se dal punto di vista politico sono necessitati dal fatto di tutelare la salute dei cittadini, dal punto di vista giuridico presentano qualche aspetto che merita di essere approfondito.
Le ordinanze contingibili ed urgenti sono provvedimenti straordinari adottati dalle Pubbliche Autorità nei casi espressamente previsti dalla legge per far fronte a situazioni di necessità tali da non consentire il ricorso ai rimedi normalmente previsti dall’ordinamento giuridico.
Si tratta quindi di atti che derogano ai principi di tipicità e nominatività e ciò al fine di assicurare all’amministrazione quell’elasticità di manovra che è necessaria per far fronte in modo adeguato a situazioni eccezionali non predeterminabili in via normativa.
Le ordinanze extra ordinem devono, tuttavia, rispettare dei limiti che attengono alla materia, alle finalità, alla competenza ma soprattutto al rispetto di ineludibili precetti costituzionali.
In questa breve nota saranno esaminati due aspetti delle ordinanze volte a contrastare il Covid-19, ossia quale sia l’ente competente a adottarle e se siano rispettati i limiti costituzionali.
2. Sulla competenza di Comuni, Regioni e Stato.
La produzione normativa extra ordinem degli organi di governo, sia centrale che locali, nell’ultimo mese è stata copiosa e spesso può essere apparsa al cittadino un coacervo di disposizioni confuse.
In via preliminare si deve segnalare che sia il Sindaco, sia la Regione che lo Stato hanno il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti in materia sanitaria.
Il riparto di competenza tra questi tre enti è definito dal combinato disposto dell’art. 117, comma 1 del d.lgs. n. 112/1998 e dall’art. 32 della legge ordinaria dello Stato n. 833/1978 e il criterio utilizzato è quello dell’ambito territoriale in cui è localizzata l’emergenza sanitaria: nel caso in cui questa abbia carattere esclusivamente locale la competenza spetta al Sindaco, nel caso in cui riguardi più Comuni o l’intero territorio regionale spetta al Presidente della Giunta regionale, se invece concerne più ambiti territoriali regionali o l’intero territorio nazionale spetta al Ministro della Salute.
Con specifico riferimento all’emergenza sanitaria derivante dal Covid-19, il Governo della Repubblica, nell’art. 35 del decreto-legge 02 marzo 2020, n. 9, ha fissato un ulteriore limite contenutistico negativo per le ordinanze sindacali, prevedendo che i provvedimenti adottati in ambito locale non possano prevedere misure in contrasto con quelle statali, pena l’inefficacia del provvedimento del Sindaco.
La maggior parte delle ordinanze sindacali adottate in questo periodo prevedono specifici divieti che trovano la loro fonte di legittimazione nell’art. 50, comma 5, del TUEL il quale, però, si riferisce a casi di emergenze sanitarie «a carattere esclusivamente locale» e pertanto si potrebbe dubitare della loro legittimità, avendo l’epidemia carattere nazionale/globale.
Anche le Regioni sono occorse al potere extra ordinem conferito loro dall’art. 32, comma 3 della legge ordinaria dello Stato n. 833/1978, istitutiva del sistema sanitario nazionale, per disporre specifici divieti efficaci nei loro territori, la cui legittimità è comunque dubbia.
Per far pronte a questa selva di provvedimenti locali è intervenuto il Ministro della Salute il quale ha stabilito alcuni divieti valevoli su tutto il territorio nazionale. Saranno quindi l’ordinanza del 20 marzo 2020 (in G.U. n. 73 del 20 marzo 2020), non esente da profili critici (si pensi all’indicazione vaga e generica circa la possibilità di svolgere «attività motoria in prossimità della propria abitazione» (punto 2)), nonché i provvedimenti ministeriali, presidenziali e del Governo gli atti a cui fare riferimento per il rispetto delle misure volte al contenimento del contagio.
Sul punto, però, meritano alcune precisazioni:
– le ordinanze contingibili ed urgenti, in mancanza di un provvedimento di annullamento da parte del TAR competente o da parte del Capo dello Stato in sede di ricorso straordinario, rimangono formalmente in vigore;
– vi potrebbero essere dei contrasti tra le disposizioni previste dalle ordinanze comunali e regionali rispetto a quelle statali e, nel caso di mancato rispetto dei divieti locali più restrittivi, si potrebbe incorrere nel reato di «Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità». L’art. 650 c.p. è una norma penale in bianco ove il precetto è formulato in modo generico, da completare mediante l’intervento di altre fonti quali, ad esempio, un provvedimento amministrativo che è elemento costitutivo della fattispecie. Il giudice penale per poter stabilire se il reato sia stato commesso dovrà necessariamente prendere in esame anche il provvedimento amministrativo impositivo e sindacarne la conformità alla legge. In caso di esito negativo, dovrà disapplicare l’atto amministrativo illegittimo e riscontrare la non configurabilità della fattispecie penale. Poiché l’ordinanza contingibile ed urgente deve avere quale requisito la legittimità formale, in caso di violazione dei divieti più restrittivi posti da un’ordinanza locale in materia sanitaria a fronte di un’epidemia nazionale, il giudice dovrebbe dichiararne l’illegittimità e prosciogliere l’imputato.
Ciò premesso, non sono condivisibili i rilievi del decreto 18 marzo 2020, n. 41 del TAR Campania – Napoli, avanti al quale è stata impugnata l’ordinanza del Presidente della Giunta regionale campana n. 15 del 13 marzo 2020, la quale aveva posto divieti più restrittivi (nello specifico il divieto di praticare sport all’aperto) rispetto a quanto stabilito dal DPCM 09 marzo 2020. Questa decisione, come sostenuto da autorevole dottrina (V. BALDINI, «Emergenza sanitaria nazionale e potere di ordinanza regionale. Tra problema di riconoscibilità dell’atto di giudizio e differenziazione territoriale delle tutele costituzionali», in Dirittifondamentali, n. 1/2020), potrebbe infatti minare «irrimediabilmente l’uniformità dell’efficacia della normativa statale emergenziale a favore di una sorta di modello improprio di discipline differenziate per la gestione dell’emergenza».
Si potrebbe, invece, ipotizzare che le ordinanze extra ordinem di Comuni e Regioni siano legittime laddove vi sia un motivo di «specialità» tale da rendere necessaria l’adozione di provvedimenti a carattere locale diversi, seppur non in contrasto, con quelli statali. Simile situazione potrebbe derivare dal fatto che l’epidemia non stia colpendo in egual misura tutte le aree del paese, ma vi siano luoghi dove il rischio di contagio sia esponenzialmente più alto. Ebbene, in virtù di questa situazione, potrebbero essere legittimamente disposte ulteriori misure restrittive e divieti in quell’area tale da renderla un’emergenza sanitaria localizzata, una sorta di «specialità nell’emergenza», con l’eccezione della verifica della violazione della riserva di legge in materia di divieto di circolazione o di una compressione assoluta di alcuni diritti costituzionali tali da renderne impedita la loro operatività minima (sent. n. 67/1990 Corte cost.).
3. Ordinanze contingibili e urgenti regionali e violazione della riserva di legge in materia di diritti costituzionalmente tutelati: il «caso Veneto»
Il problema di fondo di questi provvedimenti emergenziali resta la loro compressione di alcuni diritti costituzionalmente tutelati. Con particolare riferimento all’ordinanza 20 marzo 2020, n. 33 (in B.U.R. n. 37 del 20 marzo 2020) del Presidente della Giunta regionale del Veneto, dott. Luca Zaia, oltre al richiamo delle limitazioni (già dubbie quanto alla forma dell’atto) contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 08 marzo 2020, estese con successivo decreto del 09 marzo all’intero territorio nazionale e integrate con quelle previste nel DPCM dell’11 marzo, ne vengono introdotte di ulteriori: 1) «nel caso in cui la motivazione degli spostamenti suddetti sia l’attività motoria o l’uscita con animale di compagnia per le sue necessità fisiologiche, la persona è obbligata a rimanere nelle immediate vicinanze della residenza o dimora e comunque a distanza non superiore a 200 metri con l’obbligo di documentazione agli organi di controllo del luogo della residenza o della dimora (punto 3)»; 2 «l’apertura degli esercizi commerciali di qualsiasi dimensione per la vendita di generi alimentari, esentati dalla sospensione disposta con l’art. 1 del DPCM 11 marzo 2020, compresi gli esercizi minori interni ai centri commerciali, è vietata nella giornata di domenica…» (punto 5).
Con riferimento al primo punto, è molto dubbio che un atto amministrativo regionale, per quanto giustificato da una situazione di straordinarietà, possa introdurre una limitazione ultronea a quelle già in vigore (di per sé discutibili in ragione della natura non legislativa dei DPCM), ponendosi in palese violazione della riserva di legge relativa e rinforzata di cui all’art. 16 della Costituzione per il quale è la legge (e non certamente un ordinanza) che stabilisce «in via generale» eventuali limitazioni per motivi di sanità o sicurezza. La garanzia dell’art. 16, secondo la giurisprudenza costituzionale (sent. n. 6/1962), non riguarda tanto la persona fisica, ma piuttosto la sua possibilità di movimento, costituendo «una proiezione» della libertà personale di cui all’art. 13 sebbene questa disposizione disciplini una «materia diversa» (sent. n. 20/1962 Corte cost.). Inoltre, è fuori dubbio che la normazione di principio limitante debba rientrare nella disponibilità esclusivamente del legislatore statale. Lo si ricava indirettamente dallo stesso art. 120, comma 1, del Testo fondamentale il quale vieta alle Regioni di «adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni», nonché dal fatto che tale libertà sia garantita in tutto il territorio nazionale. Ne consegue, dunque, che neppure una legge regionale avrebbe potuto prevedere una siffatta limitazione.
Quanto, invece, al secondo punto, diversamente dai DPCM e dall’ordinanza del Ministero della Salute 20 marzo 2020, è vietata, nel territorio regionale veneto, l’apertura degli esercizi commerciali di qualsiasi dimensione nella giornata di domenica. Ora, al di là della scelta poco fausta, in quanto induce a concentrare i cittadini nei giorni antecedenti all’interno delle strutture sopra indicate, favorendo assembramenti e, dunque, una potenziale diffusione dell’agente patogeno, è certamente vero che la disciplina dei giorni ed orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali non ricade nell’ambito della competenza legislativa esclusiva dello Stato, bensì in quella residuale regionale, in particolare all’interno della materia commercio, come peraltro affermato dalla consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale (sentt. n. 1/2004; n. 64, n. 165 e n. 430/2007; n. 350/2008; n. 247 e n. 288/2010; n. 150/2011) per cui la tutela della concorrenza, nella sua dimensione statica (sent. n. 299/2012), non rappresenta un limite «esterno», atto a comprimere, fino a svuotarla, la competenza regionale, ma semmai un limite «interno» alla normativa regionale, nel senso che quest’ultima dovrebbe conformarsi ai generali obiettivi di non discriminazione fra operatori economici, di apertura al mercato e di eliminazione di barriere e vincoli al libero esplicarsi dell’attività economiche (sentt. n. 18/2012 e n. 150/2011), tuttavia, nel caso di specie, in primo luogo non siamo in presenza di una fonte legislativa regionale ed, in secondo luogo, la mancata previsione di un divieto di apertura a livello di normativa nazionale (sulla quale, come già ribadito, sussistono elementi di criticità in ragione dell’utilizzo dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) ha come scopo proprio quello di estendere e spalmare, in tutti i giorni della settimana, la possibilità di accesso alle strutture commerciali proprio al fine di evitare contatti troppo ravvicinati. Si potrebbe, pertanto, ritenere che, sul punto, operi la «competenza prevalente» nella quale restano attratte anche le norme di contorno, divenendo una materia «piena», ossia portando con sé tutte le funzioni amministrative senza subordinarne l’esercizio a procedure di leale collaborazione.
4. Quale ordinanza seguire?
La domanda posta dal titolo del paragrafo non è secondaria. Davanti al «cortocircuito di ordinanze», in particolare tra quella del Ministero della Salute e quella del Presidente della Giunta regionale veneta, i funzionari pubblici (esclusi i giudici) come devono comportarsi dal momento che entrambe sono in vigore?
Si potrebbe applicare alla fattispecie concreta l’alternativa che opera a fronte di leggi illegittime, ma non ancora pervenute all’esame dell’organo costituzionale. A riguardo, mentre alcuni autori (Zagrebelsky) ritengono il carattere non obbligatorio del provvedimento illegittimo, fatto salvo l’eventuale obbligo di seguire l’ordine del superiore che nell’ambito di un rapporto gerarchico ne abbia imposto l’applicazione, altri (Esposito) propendono per la loro esecutorietà. La seconda tesi, però, non risolverebbe il problema. Infatti, come si dovrebbe comportare un agente di polizia davanti ad un supermercato aperto di domenica nel territorio regionale veneto? In relazione al nostro caso, riteniamo, pertanto, che l’ordinanza regionale, nelle parti che violano la riserva di legge di cui all’art. 16 della Cost. o dispongono limitazioni non contemplate da fonti statali, sia pure di grado secondario, non possa trovare applicazione. Contestualmente il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri (art. 2, lett. g) della legge ordinaria dello Stato 23 agosto 1988, n. 400), dovrebbe (il termine è di 60 giorni dalla pubblicazione nel B.U.R.) introdurre, mediante ricorso, il conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale, per menomazione della competenza, con contestuale richiesta di una ordinanza di sospensione per «gravi motivi» ex art. 40 della legge n. 87/1953.
5. Conclusioni
In queste settimane di emergenza sanitaria e purtroppo di numerosi decessi, il rispetto delle competenze e delle procedure (tanto da parte dello Stato, quanto da parte delle Regioni) non rappresenta una questione meramente formale, ma la bussola per la tenuta stessa del sistema costituzionale che rischia di trasformare lo Stato di diritto in un perenne Stato di eccezione. Il dato comune a tutte queste tendenze è senz’altro l’eclissi della politica, in un circolo vizioso senza fine nel quale tale eclissi costituisce al medesimo tempo la causa e l’effetto del fenomeno: lo stato comatoso nel quale si trova la politica alimenta le tendenze segnalate e a loro volta queste tendenze mortificano ulteriormente la politica. In questa vicenda il Parlamento italiano ha fatto la sua comparsa per convertire in legge (la n. 13/2020 in G.U. n. 61 del 09 marzo 2020) il decreto-legge madre, quello del 23 febbraio 2020, n. 6 (in G.U. n. 45 del 23 febbraio 2020), da cui è derivata a cascata tutta la catena degli altri atti normativi (i DPCM) che sono stati adottati, e per autorizzare a maggioranza assoluta ex art. 81 Cost., come novellato dalla legge costituzionale n. 1/2012, lo scostamento di bilancio. Non vorremmo, per dirla con Agamben, che lo stato di eccezione diventi sempre di più il normale paradigma dell’esercizio del potere esecutivo.
(1) Avvocato del Foro di Padova. Professore a contratto di Istituzioni di Diritto Pubblico presso Unicollege sede di Mantova.
(2) Associato di Diritto costituzionale italiano e comparato e Dottrina dello Stato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB-Centro Studi superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico.
P.S. Pur nell’ambito di una riflessione comune, i paragrafi 1 e 2 sono di Michele Borgato, mentre i paragrafi 3 e 4 di Daniele Trabucco. La conclusione è stata redatta congiuntamente dai due autori.